Le grotte di Levanzo e Favignana furono ripetutamente e diffusamente abitate sin dal Pleistocene Finale o Paleolitico Superiore (a partire da circa 12.000 anni a.C.). Ma questa prima occupazione da parte dell’uomo seguiva quella da parte della fauna pleistocenica, caratterizzata dalla presenza dell’elefantino nano e altre specie estinte. In alcune zone, come il Faraglione di Favignana o la costa nord-occidentale di Levanzo, annoveriamo complessi cavernicoli di altissima valenza paletnologica, che pongono le due isole dell’arcipelago fra le “province preistoriche” più importanti d’Europa.

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La rilevanza di queste caverne non è data soltanto dalla presenza della Grotta del Genovese dalle ben note manifestazioni di arte rupestre, ma anche dalla potenzialità dei depositi stratificati in esse presenti. I pochi scavi effettuati hanno evidenziato la presenza di comunità di cacciatori sin dal Paleolitico Superiore, dotati di grande abilità nella produzione di strumenti in selce inquadrabili nella tipologia della facies epigravettiana. Tali comunità si svilupparono lentamente fino ad acquisire l’agricoltura e la pastorizia tra le loro attività primarie. Questo cambiamento dovette coincidere con un grosso mutamento nella geografia dei luoghi. Siamo certi che fino all’ultima glaciazione, ovverosia la cosiddetta Wurm, Levanzo e Favignana erano legate al litorale trapanese. Sul piano archeologico, tale situazione viene rispecchiata nelle immagini incise sulle pareti della Grotta del Genovese di Levanzo, dove animali tipici da prateria, come il cavallo selvatico e il bue selvatico, evidentemente occupavano l’immaginario dei cacciatori paleolitici.

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La grotta documenta la cultura degli uomini del Paleolitico e del Neolitico, cacciatori, le cui descrizioni di vita vissuta e la trasposizione dei riti propiziatori sono giunte fino ai nostri giorni sotto forma di arte rupestre. Alla camera principale si accede attraverso un passaggio molto angusto. Forse proprio la quasi totale separazione dall’esterno e il buio hanno preservato lo spettacolo di incisioni parietali e pitture rupestri rinvenute quasi per caso, nel corso del 1949, da una pittrice fiorentina di nome Francesca Minellono. Oltre alle citate incisioni, sono state rinvenute pitture parietali raffiguranti animali terrestri e marini, idoli di forma globosa, figure antropomorfe stilizzate con arti lunghi e filiformi, forse danzanti, tutti di colore nero. Alla destra della scena descritta compare l’unica figura umana dal corpo più sinuoso e testa a punta, riferibile al Paleolitico, di colore rosso.  

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