Sono “vulnerabili”, le tartarughe Caretta caretta. Questa è la classificazione ufficiale che ha attribuito loro l’IUCN, l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, nella sua celebre Lista rossa. Dunque, una specie a rischio come le altre sei che popolano i mari del pianeta, dove le condizioni di vita delle tartarughe marine sono sempre più difficili a causa dell’impatto più o meno diretto delle attività umane sui loro habitat di riferimento.

L’altra faccia della medaglia, quella incoraggiante e finanche rassicurante, invece, si identifica con i numerosi progetti di tutela, con gli interventi concreti di cura e protezione, con la mobilitazione di tanti volontari nel monitoraggio dei nidi e nel supporto ai piccoli nati per difenderne l’ingresso in mare, la loro casa. Il modo più efficace per contrastare il rischio di estinzione e garantire il futuro della specie più diffusa nel Mediterraneo.

I primi rischi si manifestano ancora prima che le tartarughe vengano alla luce. Anzi, già da prima che la Caretta madre arrivi a deporre le uova, se trova che la spiaggia dove ha deciso di scavare il nido, magari quella in cui lei stessa è nata, è occupata da attrezzature balneari o è vicino a locali frequentati anche di notte, a fonti di inquinamento acustico o luminoso. O se, nel momento in cui risale la battigia alla ricerca del punto giusto, trova ad accoglierla un muro di curiosi che la assediano, cellulari alla mano, per registrare l’evento e condividerlo sui social. Qualunque sia il tipo di disturbo, l’animale è indotto ad allontanarsi e costretto a cercare altre soluzioni.

Rischi e precauzioni per i nidi sulle spiagge

Quando poi l’operazione va a buon fine, altre sono le minacce che possono mandare a monte il grande sforzo compiuto dalla Caretta per fare il nido e depositarvi le sue uova, patrimonio di vita. Basta che le sue impronte sulla sabbia, simili a tracce di un mezzo cingolato, siano ignorate e cancellate, deliberatamente a meno, durante operazioni di pulizia dell’arenile e per altre forme di utilizzo. I mezzi meccanici di pulizia, poi, distruggono direttamente i nidi. E lo stesso avviene per la pressione e la copertura con attrezzature balneari. Per questo è fondamentale la collaborazione degli operatori balneari e dei volontari nell’individuare tempestivamente all’alba le tracce del passaggio della tartaruga e la collocazione dei nidi, che, se trovati, vanno recintati e monitorati per tutta la durata dell’incubazione. In qualche caso, quando sono troppo vicini al mare ed esposti al diretto contatto con l’acqua, è necessario spostarli in punti asciutti e più sicuri della spiaggia, per non compromettere le nascite.

Nel momento in cui si conclude la fase di incubazione, i volontari e gli esperti che controllano i nidi sotto protezione, sono chiamati a proteggere la risalita in superficie delle tartarughine e la loro corsa notturna verso il mare. Fondamentale è che gli animaletti non siano in alcun modo disturbati da rumori o affollamento e, soprattutto, che fonti luminose artificiali non impediscano loro di vedere il riflesso di luna e stelle grazie al quale trovano la direzione giusta per raggiungere il mare. La cura umana è utile anche per evitare la predazione dei piccoli appena nati da parte di gabbiani e altri uccelli marini.

Plastica e pesca i grandi rischi in mare

La crescente quantità di plastiche e microplastiche accumulate nell’ambiente marino è uno dei principali pericoli per le tartarughe che ci vivono. Animali onnivori, capita che scambino per prede pezzi di plastica o che li mangino comunque per la presenza di microplastiche negli organismi di cui si cibano naturalmente. Le analisi e verifiche su esemplari di tartaruga morti hanno rivelato la presenza di plastica nell’80 per cento dei casi. Sacchetti o altri oggetti di plastica possono anche uccidere gli animali provocandone il soffocamento.

Ferite gravi, anche mortali possono essere procurate dalla diffusione in mare di attrezzi da pesca abbandonati. La pesca contribuisce in modo molto significativo alle morti non naturali delle tartarughe marine, catturate accidentalmente o ferite mortalmente dalle attrezzature utilizzate per la pesca industriale. Altra importante causa di morte è l’impatto con eliche e altre parti di imbarcazioni in navigazione.

Per salvaguardare le tartarughe marine, quindi, è fondamentale la riduzione della presenza di plastica in mare, a cui chiunque è chiamato a contribuire sia non disperdendo oggetti o parti di plastica nell’ambiente sia adoperandosi per il loro recupero e corretto smaltimento. Ma è essenziale anche segnalare prontamente la posizione di animali feriti o morti rinvenuti in mare o sulle spiagge, per consentire agli esperti di recuperarli sia quando è possibile curarli sia, se morti, per effettuare analisi utili all’accertamento della causa, che è un dato utile per le iniziative e le azioni da attivare a tutela della specie.