Finché c’è la vittoria di qualcuno su qualcun altro, l’umanità ha perso.
Finché la logica della sopraffazione prevale su quella della cooperazione, il progresso è solo apparente.
Se la mia vittoria implica la sconfitta di un altro, qualcosa si incrina nel tessuto collettivo: la solidarietà, il senso di comunità, l’idea che l’essere umano possa crescere insieme invece che contro.
Nelle guerre la vittoria di una nazione sull’altra non è mai completa: anche chi “vince” porta con sé ferite morali, perdite umane, odio sedimentato che difficilmente si cancella. Città distrutte, famiglie spezzate, nuove divisioni che nascono sono il prezzo reale di una vittoria militare. In politica, il confronto-scontro, il successo di un partito ottenuto attraverso la delegittimazione totale dell’avversario non costruisce una società migliore, ma alimenta fratture che indeboliscono la convivenza civile.
Persino nello sport, dove la gara è per definizione parte del gioco, il significato della vittoria cambia a seconda dello spirito con cui viene vissuta. Quando prevalgono il rispetto reciproco e il riconoscimento del valore dell’altro, la vittoria può essere occasione di crescita comune. Se invece diventa un modo per umiliare l’avversario, allora lo sport perde la sua funzione educativa e unificante.
L’evoluzione dell’umanità sta nel superare la logica del “noi contro loro” per abbracciare quella del “noi con loro”. La cooperazione, la ricerca di soluzioni condivise e la vittoria collettiva sono le uniche strade per un progresso autentico. Non significa eliminare ogni forma di competizione, che può stimolare il miglioramento, ma trasformarla in uno strumento per crescere insieme, non per dominare.
Se la vittoria continua ad essere intesa come l’annientamento dell’altro, l’umanità è condannata a una sconfitta continua e invisibile: quella della sua stessa umanità.
Se imparo a vincere insieme, senza lasciare nessuno indietro, posso dire di avere davvero vinto.

