Mi prende allo stomaco, silenzioso ma costante, ogni volta che mi accorgo che “madre” non basta. Questo ruolo così totalizzante, così assorbente, così profondamente umano, sembra sempre dover essere accompagnato da un “ma anche…”: ma anche lavoratrice, ma anche sportiva, ma anche imprenditrice, ma anche qualcos'altro che possa essere tradotto in termini di produttività, redditività e performance.

Invece no! Essere madre è già moltissimo: è una scelta radicale, potente, trasformativa.

È essere disponibile a rifare me stessa attraverso un’altra vita che cresce, che mi guarda, che mi assorbe, che mi sfida, che mi costringe costantemente a diventare nuova.

È lavoro, impegno, presenza, creatività, pazienza, fatica. È notti in bianco, pasti saltati, appuntamenti dimenticati insieme a mani piccole che si aggrappano al collo, a sorrisi che mi disarmano ed alla profonda consapevolezza che sto “costruendo il futuro”.

Mi risveglio atleta: nuoto, sudo, mi alleno, sfido i miei limiti e ritrovo un equilibrio interiore.

Non è un’aggiunta per “giustificare” la maternità, non è un di più per rendermi accettabile agli occhi della società: è solo un altro modo di essere pienamente me stessa, di riconnettermi al corpo… e al Tutto.

Arriva sempre puntuale quella frase, sottile come una lama affilata:

 “Eh sì, ma dovresti lavorare…”.

È quello che faccio ogni giorno: curo e sono presente.

Anche se non timbro un cartellino.

Anche se non ho un badge aziendale.

Anche se non ricevo una busta paga a fine mese.

Lavoro tutti i giorni crescendo l’avvenire. E poi? Poi, mi alleno. Faccio spazio a me stessa, trovo una nuova forma e trasformo la fatica in consapevolezza.

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