Molti sembrano giocare una continua partita ad individuare un colpevole. Se qualcosa non va come previsto, se fallisco o se la realtà mi delude, automaticamente, quasi come riflesso, punto il dito. È colpa del partner, dei genitori, del capo, della società, della sfortuna. Un meccanismo apparentemente innocuo, che ostacola la mia evoluzione.
Attribuisco l’onere all’esterno e mi sollevo temporaneamente dal peso del fallimento e dall’ansia di dover cambiare qualcosa di me stessa. È più facile accusare che guardarmi dentro. E’ più comodo lamentarmi che assumermi l’impegno di agire. Costruisco un alibi perfetto per restare immobile.
Il tempo passa, le occasioni sfumano e il senso di frustrazione cresce.
Cerco sempre un colpevole fuori da me e mi presto a un gioco che mi tiene bloccata al punto in cui sono e che perciò è comunque “a perdere”… anche se dovessi …vincere...
Inizio a chiedermi “di chi è la colpa?”, “cosa posso imparare da questo?” o “cosa posso fare io, adesso?” e non sono più pedina, ma protagonista.
Responsabilità non è mancanza, non significa giudicarmi o punirmi, ma riconoscere il mio potere di incidere sulla realtà. È questo cambio di prospettiva che mi libera, che mi permette di trasformare ogni difficoltà in opportunità, ogni errore in esperienza, ogni ostacolo in allenamento.
Se la vita resta una danza a cercare le colpe degli altri, rimango spettatrice.
Smetto di giocare e inizio a vivere.

