“Normalità”: punto di riferimento per giudicare comportamenti, pensieri, scelte di vita. Mi insegnano sin da piccola cosa è “normale” e cosa non lo è: andare a scuola, costruirmi una carriera, sposarmi, avere figli.
Questa idea di normalità, tuttavia, è un’invenzione collettiva, mutevole nel tempo e nello spazio, costruita sulla base di convenzioni sociali che cambiano a seconda della cultura, dell’epoca e del contesto.
Ciò che è ritenuto normale in una società può essere visto come strano, o addirittura sbagliato, in un’altra. In alcune culture è normale vivere in famiglie allargate, in altre si tende a privilegiare l’indipendenza individuale.
In passato era normale che le donne non avessero accesso all’istruzione o al voto, oggi sarebbe inaccettabile. La normalità è legata alle norme sociali del momento e cambia nel tempo.
L’idea che esista una sola via giusta da seguire è pericolosa. Un modello di normalità esclude, giudica e censura chi se ne discosta.
Molte persone, d’altro canto, pur di essere accettate, reprimono parti autentiche di sé per adattarsi a ciò che la società considera normale e vivono così in un’infelice prigione invisibile, che limita la libertà e l’espressione dell’individualità.
Nessuno è veramente “normale”. Ognuno ha un vissuto unico, pensieri propri, sensibilità differenti. Questa varietà rende ricco il tessuto umano e ne valorizza le differenze.
Smetto di cercare un modello universale da seguire e comincio a costruire una vita spontanea e in linea con la mia verità.
Normalità è solamente una parola. Un’illusione di ordine in un mondo naturalmente caotico, variegato ed in continuo cambiamento.
Non rincorro ciò che è considerato normale, ma mi chiedo: cosa è giusto per me? Solo così posso vivere con sincerità, rispetto e libertà.
Accetto che la normalità non esiste e compio il primo passo verso una società più aperta, inclusiva e umana.