Uno sguardo dentro di me

“Genocidio” evoca immagini terribili: campi di concentramento, marce della morte, fosse comuni, bambini strappati alle madri, intere popolazioni cancellate perché ritenute "altre", "inferiori", "nemiche". È facile pensare che questi orrori appartengano a mostri, a esseri disumani, a persone così lontane da me da sembrare di un'altra specie. Questo pensiero rischia però di essere pericoloso: è un modo per tenere la violenza a distanza, per illudermi che io non c'entri nulla… Se ho il coraggio di guardare davvero dentro di me, scopro invece qualcosa di inquietante e profondamente liberatorio: il seme di quella violenza, si, l’ho piantato io...

Non è facile ammetterlo, eppure ci sono momenti, piccoli, apparentemente insignificanti, in cui giudico silenziosamente qualcuno, sento fastidio ed allontano ciò che mi mette a disagio. A volte è insofferenza e mi chiudo, mi proteggo, creo muri interiori. Tutto questo, se non ne divento consapevole, può crescere. E ciò che dentro di me è un semplice malessere, nel cuore di una società intera può trasformarsi in odio, esclusione, persecuzione. Genocidio.

Non nasce all’improvviso: è preceduto da una lenta e silenziosa costruzione di “noi” contro “loro”. Comincia da parole, da sguardi, da indifferenze. Nasce da una cultura che disumanizza l’altro, che lo riduce a categoria, a problema, a minaccia. E se questo processo prende piede, se nessuno lo vede o, peggio, se molti lo alimentano, allora la violenza diventa realtà.

La responsabilità comincia da me: non posso cambiare il mondo intero, ma posso osservare le mie emozioni, riconoscere quando mi irrigidisco, quando sentenzio, quando manipolo, quando manco di Amore. Quando sento il bisogno di difendermi o di respingere, posso scegliere di non alimentare quell’energia: ci resto assieme, la osservo e la lascio sciogliere. Scelgo di ascoltare, di comprendere e di aprire il cuore.

Non è facile, non è immediato e forse non è nemmeno "eroico" nel senso classico, ma è un atto rivoluzionario, perché ogni volta che adotto comprensione al posto di giudizio, ogni volta che incontro l’altro con rispetto, contribuisco a spezzare la catena della violenza. Ogni volta che riconosco il seme del genocidio dentro di me e decido di non nutrirlo, faccio spazio a un’umanità diversa.

La pace non è solo assenza di guerra: è presenza di coscienza. È una scelta quotidiana. È il coraggio di guardare dentro di sé, nei luoghi più scomodi, per non ripetere “fuori” la storia di ciò che è “dentro”

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