Una vita piena: due bambini da crescere, una casa da gestire e responsabilità quotidiane che scandiscono il tempo con precisione quasi militare, ma dentro di me qualcosa cerca ancora uno spazio, un respiro diverso.
E’ quasi in un giorno qualunque che inizio a praticare apnea a livello agonistico. Una scelta apparentemente folle: non è già abbastanza difficile tenere insieme tutto?
Quel silenzio profondo dell’acqua e quel tempo sospeso tra un respiro e l’altro mi donano una libertà nuova, primitiva. Una sfida estrema che mi porta nuova luce, un orizzonte da guardare con fiducia, qualcosa di solo mio oltre il ruolo di madre, oltre quello di adulta razionale e organizzata.
Qualcosa però non va.
Dovrei sentirmi forte, coraggiosa e invece, ancor prima di tuffarmi sul serio in questa avventura, mi sento fragile, triste e impaurita. Non so nulla di ciò che mi aspetta e già il cuore si stringe come se ricevesse una cattiva notizia. La donna che sono, all’improvviso, fa un passo indietro e lascia spazio a una bambina sperduta.
Una bambina…, è strano dirlo, lo so, ma è esattamente come mi sento.
Questa prova così radicale e profonda risveglia ciò che ho dimenticato: la parte più vulnerabile, quella che teme di non farcela, quella che si chiede se ne valga la pena, quella che ha timore di fallire… o forse, semplicemente, di scoprire chi è davvero, svelando ogni finzione.
L’apnea toglie ogni rumore, ogni distrazione e mi lascia da sola con me stessa. Là sotto, nel silenzio blu, non esistono ruoli, non esistono doveri. Sono. Col respiro. Con la paura. Con la verità.
E allora forse, questa tristezza e questo sgomento non sono segnali d’allarme, ma il primo vero passo, perché solo disposta a guardare in faccia la mia fragilità, comincia una potente trasformazione.
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