La famiglia è il teatro primo della mia esistenza: qui imparo il linguaggio dell’amore e della cura, ma anche del bisogno e della dipendenza.

Il luogo in cui, senza colpa e inconsapevolmente, si depositano incomprensioni, mancanze e ferite. Pur amata, attraverso momenti in cui mi sento non vista, non ascoltata o addirittura abbandonata. E’ la condizione stessa dell’essere umano in crescita e nessun genitore può colmare ogni vuoto, interpretare ogni segnale ed evitare ogni disillusione.

Le mie ferite nascono così: non tanto da grandi traumi evidenti, ma spesso da crepe sottili, da parole non dette, da aspettative implicite, da ruoli che mi sento chiamata a ricoprire per mantenere l’equilibrio familiare. Ci sono figli “bravi”, silenziosi, che diventano adulti iper-responsabili; altri imparano ad essere il “sostegno emotivo” di un genitore fragile; altri ancora cercano per anni quello sguardo che li faccia sentire abbastanza. Dinamiche che feriscono e che modellano profondamente.

La famiglia è il campo di prova che permette di evolvere. Non scelgo consapevolmente i miei genitori, ma posso considerare l’idea che esista una sorta di “necessità” interiore che indirizza verso un certo ambiente affettivo: un patrimonio invisibile fatto di emozioni irrisolte, di fragilità, di desideri, di silenzi.

Mi confronto con esso e imparo chi sono.

Riconosco le mie ferite, non le nego e non le giudico e inizia ad emergere la coscienza. E’ il coraggio di ascoltare la mia bambina interiore e di scoprire che la vulnerabilità non è una condanna, ma una porta attraverso la quale imparo a dare nome alle mie miserie, a sciogliere gli automatismi che mi imprigionano, a trattarmi con tenerezza e a non ripetere meccanicamente ciò che ho assorbito senza scelta.

La maturità non cancella il passato, ma lo guarda con occhi nuovi: “Ecco cosa mi ha ferito, ecco cosa ho imparato, ecco come posso trasformarlo”. In questo gesto di consapevolezza c’è la vera libertà. La famiglia, allora, diventa non solo un’origine, ma un’occasione: un territorio spesso difficile, ma fertile, che mi costringe a vedere.

Nasco in una famiglia ben precisa, perché solo attraverso quel percorso, con le sue luci e le sue ombre, posso sviluppare le qualità interiori che mi rendono autentica e umana.