L’areale di diffusione originario era già amplissimo: dal Mar del Giappone all’Australia, dalla Polinesia al sud-est asiatico, praticamente tutto il Pacifico tropicale e sub-tropicale e il Mar Rosso.
Poi, una trentina di anni fa, alcuni esemplari sfuggirono da un acquario della Florida e finirono nell’Atlantico. Tempo una manciata di anni e il pesce scorpione (Pterois miles e Pterois volitans) è diventato di casa in tutto il Mar dei Caraibi, con conseguenze gravi sugli equilibri degli ecosistemi locali. Ma il comportamento tipico dei giovani, che lasciano presto il mare di nascita per andare a insediarsi altrove, ha portato qualche pesce scorpione anche nel Canale di Suez e, da lì, il suo passaggio nel Mediterraneo non ha trovato ostacoli. Così, dal secondo decennio di questo secolo è entrato ufficialmente nella lista degli “alieni” nel Mare Nostrum.
Esemplari del genere Pterois, appartenenti alle due specie che solo recentemente sono state riconosciute come distinte (miles e volitans), hanno iniziato a prendere possesso delle acque più orientali, tra Libano, Siria e Turchia, poi Cipro. In quell’area dal 2013, gli avvistamenti sono diventati sempre più frequenti, non solo di singoli esemplari, ma perfino di branchi, il che è indicativo di una presenza significativa, considerato che si tratta di un pesce dal comportamento solitamente solitario, che di rado si aggrega. E da qualche anno, dal Mediterraneo orientale è in atto un progressivo spostamento verso occidente, certamente favorito dall’aumento delle temperature che si sta registrando in tutto il bacino, trattandosi di una specie tropicale.
Da questa espansione non sono rimasti esclusi i mari della Penisola. I primi avvistamenti di Pterois risalgono al 2016, nella Sicilia sud-orientale. Poi, sono stati identificati altri esemplari, sempre solitari, in Sardegna e ancora in Sicilia. Con un aumento tra il 2020 e il 2022. Nell’estate del 2023 un pesce scorpione è stato catturato a Le Castella, in Calabria, da pescatori professionisti a 24 metri circa di profondità e il 25 giugno un altro è stato fotografato a 12 metri, sempre in Calabria, a Marina di Gioiosa Ionica, da un fotografo sub che ha prontamente segnalato la presenza aliena. E nel 2024 è stato reso noto un altro avvistamento nel mare della Puglia. Tutti contributi preziosi anche per i gruppi di ricerca che studiano le specie “aliene” e la loro espansione nel Mediterraneo. Oggetto, tra l’altro, di uno studio condotto dall’Università olandese di Wageningen e pubblicato sulla rivista scientifica “NeoBiota”, che spiega come la veloce diffusione nel Mediterraneo rappresenti un pericolo per gli ecosistemi qui come è già accaduto nel Mar dei Caraibi. In considerazione di questa riconosciuta pericolosità per gli equilibri ecologici del nostro mare, sono in corso progetti di ricerca, che prevedono un monitoraggio della diffusione di quella e di altre specie aliene, anche utilizzando il contributo dei tanti frequentatori del mare, non scienziati, attraverso il Citizen Science.
Hanno una testa piccola, ma una grande bocca e occhi sporgenti sovrastati da due escrescenze come quelle che si trovano anche intorno al loro mento e servono per confonderli con i coralli, che come loro vivono in habitat rocciosi. Gli Pterois sono pesci mimetici, che utilizzano a tale scopo anche la splendida livrea a strisce marroni e bianche, alternanza di colori caratteristica anche sulle pinne, che contribuiscono durante il movimento alla bellezza riconosciuta dell’animale. Ma le pinne custodiscono anche la particolarità che rende i pesci scorpioni pericolosi anche per l’uomo. Sulla pinna dorsale si trovano tredici aculei cavi e altri tre sono presenti sulla pinna anale: tutti servono ad inoculare veleno nei nemici da cui gli Pterois si sentono attaccati. Gli aculei sono collegati a una ghiandola velenifera, da cui si “alimentano” della neurotossina che resta attiva fino a 48 ore dopo la morte del pesce scorpione. Anche per l’uomo si tratta di un veleno pericoloso che, in caso di puntura, provoca grande dolore e un avvelenamento che può essere molto serio e che, in qualche raro caso, si è rivelato perfino esiziale. Perciò bisogna fare molta attenzione in caso di incontro con uno Pterois ed evitare ogni contatto ravvicinato, anche se tendenzialmente si tratta di un animale che tende a nascondersi e a confondersi con l’ambiente circostante, attaccando solo quando si sente in pericolo.
Il genere Pterois comprende dieci diverse specie, tutte tropicali, che, pur avendo grandi capacità di adattamento, vivono in habitat rocciosi e nelle barriere coralline, solitamente a bassa profondità, al massimo fino ai 150 metri. Lo Pterois è un predatore notturno, che si nutre di piccoli pesci, crostacei e molluschi. Essendo molto vorace, la sua presenza massiccia si è rivelata estremamente distruttiva al di fuori dell’areale originario, dove, invece, svolge una funzione preziosa nella catena alimentare e nel tenere in equilibrio le diverse popolazioni di abitatori del mare.
Fatta attenzione a eliminare gli aculei veleniferi, la sua carne è commestibile e quindi, al fine di contenerne la proliferazione, viene pescato e commercializzato nel Mar dei Caraibi, ma anche in Turchia e a Cipro. Grande attenzione dedica la ricerca alla sua neurotossina, per le possibili applicazioni nel campo della medicina.